Quinta meditazione cartesiana -Edmund Husserl-

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1. La percezione dell'altro

1.1. Se avessimo la possibilità di accedere direttamente all'altro in ciò che gli è essenzialmente proprio: Altro = momento essenzialmente mio Io e l'altro saremmo la medesima cosa.

1.2. E' un'esperienza percettiva, comune alle altre cose.

1.3. Richiede: -il mio estraniarmi, modificando la mia immediata autopercezione per cogliere un altro io; -espormi come un io che diviene oggetto della percezione

1.4. EMPATIA: unico mezzo per cogliere e comprendere la presenza dell'altro, mai direttamente accessibile per me.

1.4.1. Capacità di comprendere i processi psichici dell'altro

2. La percezione di sé

2.1. Percepiamo la nostra corporeità sempre in modo parziale, diversamente dalle cose che ci circondano. Certe parti del corpo poso vederle, altre no. Lo stesso corpo, mezzo percettivo, mi è da ostacolo per percepire sé stesso.

2.1.1. Solo l'altro può cogliermi nella mia interezza.

2.2. Il mio corpo: "il punto zero" di tutti gli orientamenti. Posso modificare a piacimento la mia posizione, ma non posso allontanarmi dal mio corpo, o il mio corpo da me. Vicinanza assoluta.

3. Gli oggetti nella percezione visiva

3.1. Sono un vissuto di coscienza. Si costituiscono in una modalità adombrante: l'oggetto non ci è mai dato nella sua totalità ma in un ristretto profilo, prospettiva e sequenza.

3.1.1. Appercezione

3.1.1.1. L'atto riflessivo attraverso cui l'uomo diviene consapevole delle sue percezioni, che di per sé possono anche rimanere inavvertite.

3.1.1.2. Vi è un un orizzonte intenzionale che porta un senso unitario, oltre quel lato effettivamente presente.

3.1.1.2.1. Eccedenza intenzionale: intendo sempre effettivamente di più di quanto possa effettivamente e direttamente cogliere.

4. Il presupposto intersoggettivo

4.1. I molteplici lati corrispondono ad una pluralità di altri possibili punti di vista.

4.1.1. Altri soggetti virtualmente presenti in grado di cogliere quei lati a me in ombra.

4.2. Anticipo il senso globale della cosa poiché: -ogni singola percezione non è un evento isolato; -in virtù mie capacità associative; -tali capacità poggiano su una necessaria condivisione intersoggettiva.

4.2.1. Garantisce l'unità sintetico-temporale e il senso oggettuale della mia percezione.

5. Il nesso sociale dell'esperienza percettiva

5.1. Cosa

5.1.1. Posso verificarne i leati rimasti in ombra.

5.2. Realtà psichica

5.2.1. Ciò che anima la corporeità dell'altro non mi è mai accessibile.

5.2.2. Può essere esperita solo mediante l'appresentazione, cioè la modalità della sua presenza.

5.2.2.1. "Il corpo vivo visto comporta una vita psichica come il mio"

5.3. L'incontro con l'altro mostra una trascendenza che non potrà mai avere piena soddisfazione.

5.3.1. Insoddisfazione intuitiva

5.3.1.1. Garantisce l'intangibile singolarità dell'individuo e della sua autonomia personale.

6. La persona

6.1. Ogni persona ha un proprio mondo egoistico

6.1.1. Bisogna raggiungere il senso del mondo privato dell'ego per poi guadagnare quello del mondo interpersonale

6.1.1.1. "Nella comunità comunicativa ognuno può vedere e sentite le stesse cose, e tuttavia, per ciascuno le proprie manifestazioni sono esclusivamente sue, ciascuno ha i propri esclusivi vissuti.

6.2. Analisi fenomenologica

6.2.1. Essere interamente per sé: propri vissuti e decorso temporale

6.2.1.1. Essere una monade indivisibile

6.2.1.1.1. Rende gli individui separati l'uno dall'altro

6.2.1.1.2. Caratteristica comune agli individui

6.2.1.1.3. Monadi

6.2.1.1.4. Le monadi hanno finestre

6.2.1.1.5. Consapevolezza della mia concreta e reale soggettività.

6.3. L'unità individuale

6.3.1. Si struttura nella sintesi temporale del suo vivere intenzionale

6.3.1.1. Monade concreta

6.3.2. Io

6.3.2.1. Sono colui che può ritrovare se stesso

6.3.2.2. Posso porre la questione fondamentale di come pervenga a generarsi il mio io

6.3.2.2.1. Attraverso continue sintesi

6.3.2.3. E' attivo nel flusso temporale della sfera sociale produttiva: agisce, giudica, percepisce

6.3.2.3.1. Funge anche se non vi è l'esplicita consapevolezza del suo fungere

6.3.2.4. L'io puro

6.3.2.4.1. Trasformabile nelle sue pratiche e attività, ma queste trasformazioni non trasformano l'io stesso

6.3.2.4.2. E' immutabile

6.3.2.4.3. Frutto del processo di astrazione

6.3.2.4.4. Coscienza intersoggettiva

7. La riduzione primordiale

7.1. Cercare metodicamente il territorio di ciò che per noi è più proprio e assolutamente mio.

7.2. L'epochè

7.2.1. L'atto di "sospensione dell'assenso", considerato dagli antichi scettici come necessario data l'assoluta incertezza di ogni conoscenza concernente la realtà esterna.

7.2.2. E' l'atto con cui "si pone tra parentesi" il mondo, si sospende cioè il giudizio d'esistenza delle cose. Liberandosi da questa preoccupazione, l'io diventa spettatore disinteressato di se stesso, e dà inizio all'autentica riflessione filosofica.

7.3. La mia percezione degli altri è reale, in un mondo naturale e sociale comune della mia esperienza e dell'esperienza altrui.

7.3.1. IO esperisco in me stesso nel mio vivere coscienziale...

7.3.2. ...esperisco il MONDO non come meramente mio ma come intersoggettivo...

7.3.3. ...e in esso esperisco GLI ALTRI ESISTENTI come altri e in pari tempo nel loro essere ciascuno l'uno per l'altro

7.4. Mondo intersoggettivo

7.4.1. Per coglierlo pienamente devo prima capire ciò che è inalienabilmente mio

7.4.2. Devo potermi distinguere e distanziare da tutto ciò che non sono

7.4.2.1. Raggiungere e attraversare la SFERA SOLIPSISTICA

7.4.2.1.1. Il soggetto come l'unica autentica realtà

7.5. Come fare?

7.5.1. RIFLESSIONE TRASCENDENTALE Decostruendo quel mondo che mi appare sempre come un orizzonte aperto verso gli altri, sono in grado di trovare la mia irriducibile facoltà primordiale

7.5.1.1. Astrarre e isolarsi del tutto dal mondo intersoggettivo

7.5.1.2. Guardarsi dalle ESTRANEITA'

7.5.1.2.1. Estraneità

7.5.1.3. Mettere tra parentesi l'esistenza degli altri. L'assolutamente mio si definisce nell'astrazione totale dell'altro.

8. Il rispecchiamento

8.1. Escludendo ogni alterità appare quel che io sono

8.1.1. L'altro appare realmente come estraneità

8.1.2. L'altro può relazionarsi a me proprio perché viene escluso dall'accesso diretto alla mia sfera primordiale e viceversa

8.1.2.1. La mia primordialità, per essere riconosciuta come tale, deve poter avere il suo analogo nell'altro

8.1.2.2. La primordialità dell'altro non mi è data nel modo diretto in cui sono consapevole della mia

8.1.2.2.1. L'altro si costituisce in me tramite l'empatia, io esperisco fattualmente l'altro come un'altro io con la sua costituzione mandano-temporale